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Venere, la stella dei pastori

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04/12/2020

Anche nella cultura sarda la presenza del pianeta si intreccia con la millenaria tradizione agropastorale

È uno dei corpi celesti più luminosi del nostro firmamento, per Dante è lo bel pianeto che d’amar conforta, e di recente viene considerato anche il gemello perduto della nostra Terra. Fin dall’antichità il pianeta Venere ci incanta e ci affascina con il suo bagliore nell’orizzonte infinito e rimane, oggi come allora, uno degli astri più importanti per le culture di tutto il mondo, anche quella italiana. Il suo simbolo infatti – lo Stellone – risalta in primo piano anche sull’emblema della nostra Repubblica.

Venere ha una storia curiosa: a causa del suo particolare periodo di rotazione, è possibile scorgerlo sia al mattino presto che durante il tramonto, e così gli antichi ritenevano che potesse trattarsi di due copri celesti distinti. Per questa sua caratteristica “ubiquità” è stato spesso chiamato, prima dai Greci e poi dai Romani, alternativamente come la stella del mattino o la stella della sera, mentre ufficialmente il nome Venere venne adottato soltanto a partire dal XIII secolo.

Così come nel resto del mondo, anche nella cultura sarda Venere ha da sempre un ruolo importante, che si intreccia con la millenaria tradizione agropastorale dell’isola. Al mattino, è chiamato S’isteddu e arabeskere – la stella dell’alba – mentre al tramonto S’angionadòre, ovvero colui che fa rientrare al tramonto gli agnelli dal pascolo. Alla sera invece è S‘isteddu de kenadòrgiu, o semplicemente Kenadorzu, dal sardo kena (cena), cioè l’ora serale in cui il pastore rinvia al pascolo le pecore. Proprio per questa connessione Venere è anche detta la stella dei pastori, S’isteddu de sos anzonarsos. E per averne una conferma basta pensare al verbo sardo istellare, che significa infatti scegliere i capi di bestiame più belli (così come Venere è la stella più bella) per poi destinarli al macello o al mercato.

Ma s’isteddu e la Sardegna sono unite anche da un legame tutto al femminile. Une dei crateri di Venere – di ben 32 km di diametro! – è infatti dedicato alla scrittrice e vincitrice del premio Nobel per la Letteratura Grazia Deledda. L’autrice di Canne al vento, originaria di Nuoro, è stata scelta per i suoi meriti nel 1985 dall’associazione americana “National Association for Women” per celebrare il gentil sesso sul pianeta che è per antonomasia simbolo del femminile, insieme ad altre donne famose che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’umanità.

Nel tempo divinità e punto di riferimento astronomico, oggi il pianeta giallo continua a esercitare la sua attrazione sull’immaginario collettivo – oltre che la sua romantica influenza – grazie a un’estesa letteratura fantascientifica e all’interesse da parte di enti di ricerca spaziali come la NASA, le cui missioni hanno di recente portano alla luce la possibilità che il nostro gemello, così diverso e distante, possa perfino ospitare tracce di vita biologica.

 

Francesco di Nuzzo

 

© foto credit:

– Lo bel pianeta – Gustave Dorè, credits Wikimedia commons
– Superficie Venere – credits NASA
– Venere – credits NASA
– Venere – credits Brad Mann, Unsplash
– Venus pacific levelled – Brocken Inaglory, credits Wikipedia

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