Uno scudo di vetro per proteggere il Polo Nord
Per preservare i ghiacci artici si pensa di usare una coperta di microsfere in vetro riflettente
Uno scudo di vetro per salvare il Polo Nord. Sembra quasi l’inizio di un film, e invece è l’ambizioso progetto dell’Arctic Ice Project, organizzazione no profit fondata dal dottor Leslie Field nel 2008 allo scopo di preservare i ghiacci dell’Artico. La calotta polare funge infatti da scudo termico per il pianeta, e svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento di un clima sicuro e stabile per l’intero ecosistema, rifrangendo la maggior parte del calore e delle radiazioni solari. Ma, a causa dei cambiamenti climatici, negli ultimi quattro decenni il suo ghiaccio perenne – lo stesso che permette una rifrazione di luce maggiore – è diminuito drasticamente del 95%. Senza la difesa di questo enorme riflettore, il Polo Nord potrebbe presto diventare, a causa dell’azione termica delle acque oceaniche, un enorme bollitore.
La perdita della riflettività artica ha infatti portato a un aumento di circa un terzo della temperatura globale, e ha drasticamente accelerato l’impatto del cambiamento climatico. Rallentare la perdita di ghiaccio e ricostruirlo potrebbe ridurre sostanzialmente questi tragici danni. È qui che entra in azione il vetro. La soluzione proposta dall’organizzazione è infatti quella di ricoprire una parte dei ghiacci artici con una coperta di microsfere in vetro cavo riflettente. Queste permetterebbero di aumentare l’albedo terrestre, ovvero la rifrazione della luce sulla superficie del pianeta, e di riflettere così la maggior quantità possibile di radiazioni solari. Con questo velo artificiale, il dottor Field spera anche di preservare nei mesi estivi lo strato di ghiaccio stagionale “giovane” che si forma ad ogni inverno, in modo da permettere la formazione di nuovo ghiaccio perenne. Il vetro impiegato è composto per la maggior parte da silicio, testato per non arrecare danno né agli animali né all’ecosistema polare. E poiché ci siamo tutti co-evoluti con la silice, in caso di ingestione questa non si concentra nei corpi degli esseri viventi, rendendola una scelta sicura per l’ambiente. Una volta disperso inoltre, il silicio si scompone fino a diventare parte dei 2,8 miliardi di milioni di tonnellate attualmente presenti nell’oceano, e contribuisce ad alimentare il ciclo naturale da cui dipendono molti organismi.
I primi test preliminari, condotti in vari laghi ghiacciati degli Stati Uniti, tra cui quelli dell’Alaska, hanno avuto esito positivo, mostrando un miglioramento nello spessore del ghiaccio e nella sua capacità riflettente. Ma il team sa che questa è solo una soluzione temporanea. «Il nostro approccio non è la bacchetta magica che scongiurerà una catastrofe globale – si legge nel loro sito ufficiale -. È una soluzione sicura che può essere applicata ora per migliorare il riscaldamento globale, facendo guadagnare tempo alle nazioni del mondo per completare il passaggio a economie più sostenibili».
Francesco di Nuzzo