Orologeria e sostenibilità: a che punto siamo?
Nonostante alcune iniziative interessanti, per quasi tutte le Maison la strada della sostenibilità si presenta in salita
Nei loro sforzi per convincerci che la salute della Terra conta più dei profitti degli azionisti, i marchi di lusso stanno spostando sempre più la loro attenzione sui temi dello sviluppo sostenibile e della responsabilità sociale.
Secondo i 64 principali Chief Purchasing Officer intervistati nel McKinsey Apparel CPO Survey 2019, che spendono tutti insieme oltre 100 miliardi di dollari in acquisti, le questioni ambientali e sociali e la sostenibilità hanno la massima priorità. Questi dirigenti aspirano ad avere almeno la metà dei loro prodotti realizzati con materiali sostenibili entro il 2025. Ma a che punto siamo oggi?
La lunga strada verso la sostenibilità
L’analisi di McKinsey su 235 negozi online in Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti ha rilevato che solo l’1% dei nuovi prodotti lanciati nella prima metà del 2019 è stato contrassegnato come “sostenibile”.
L’accresciuta sensibilità del consumatore verso l’ambiente e la sostenibilità conferma che queste sono tendenze che i marchi non possono permettersi di ignorare. Tra questi, vi sono le grandi manifatture orologiere, i cui prodotti fanno chiaramente parte del segmento del lusso.
Sebbene non manchino iniziative nell’ambito della sostenibilità, la stragrande maggioranza dei brand finora dà vita a partnership con organizzazioni che si battono per la tutela dell’ambiente e con programmi scientifici che lavorano per proteggere gli ecosistemi marini e terrestri. Alcuni marchi implementano anche misure per ridurre le emissioni di carbonio dei loro siti produttivi, attraverso processi più puliti, ma quando si tratta del prodotto in sé, c’è ancora molta strada da fare verso una vera sostenibilità.
Qualcosa si muove
Ultimamente ci sono state alcune belle iniziative. Breitling ha collaborato con la società di abbigliamento sostenibile Outerknown per una gamma di cinturini NATO in Econyl, un filato il cui componente principale proviene da reti da pesca riciclate.
Chopard, uno dei primi a mettere la sostenibilità al centro del proprio business con la decisione di produrre tutti i suoi orologi d’oro e i gioielli utilizzando il cosiddetto “oro etico”, ha lanciato di recente il nuovo orologio Alpine Eagle, realizzato in Lucent Steel A223: si tratta di una lega composta al 70% di acciaio riciclato e il cui residuo è anche riciclato.
Ma a parte questo – e segnalando altre iniziative come la scatola creata da Oris per i propri diver utilizzando plastica riciclata e alghe, o la cassa in titanio riciclato e il cinturino in PET riciclato dei 19 orologi dell’edizione limitata del Panerai Submersible Mike Horn – poco altro ci lascia pensare che le Maison orologiere stiano facendo meglio del piccolo 1% menzionato nel rapporto McKinsey.
L’impegno delle start-up
Perfino Baume, il nuovo marchio con grandi ambizioni in termini di materiali riciclati, economia circolare e sostenibilità, sembra uscito dai radar. I progetti più promettenti si trovano altrove, nelle start-up. Tide Ocean, azienda con sede a Basilea, sta trasformando la plastica raccolta negli oceani in orologi di qualità. Awake, una società francese, ha fatto notizia quando il presidente Emmanuel Macron ha regalato uno dei suoi orologi ai leader riuniti a Biarritz all’ultimo vertice del G7. I loro movimenti sono a energia solare, quindi nessuna batteria a inquinare l’ambiente; le casse sono realizzate partendo dalle reti da pesca recuperate nel Mare del Nord, mentre il materiale dei cinturini viene dalle bottiglie di plastica recuperate nei mari del Sudest asiatico. Certo, questi non sono orologi meccanici e sono lontani dal lusso, ma fanno sperare in un futuro migliore. Se possono farlo loro, perché non possono gli altri?
Davide Passoni